In una sentenza del 10 gennaio 2019 (RG 18/08357), la Corte d’appello di Parigi ha affermato per la prima volta che il rapporto contrattuale che lega Uber ai suoi autisti è un contratto di lavoro.
Se la sentenza dovesse essere, come probabile, confermata in Cassazione, si potrebbero aprire le porte ad una vasto numero di contenziosi dinanzi ai tribunali del lavoro francesi.
Con la decisione in questione, estremamente motivata e dettagliata, la Corte d’appello di Parigi ha ritenuto presenti, nel caso concreto, un “insieme sufficiente di prove”, tali da caratterizzare l’esistenza di una relazione subordinata tra l’autista e la piattaforma digitale Uber.
Una pronuncia, dunque, contro Uber, che non ha precedenti dinanzi ai tribunali francesi, che fa eco alle decisioni già prese in questo settore in Inghilterra e in Europa e che segue una recente sentenza della Corte di Cassazione francese del 28 novembre 2018 (n°17-20079), che ha riconosciuto l’esistenza di un contratto di lavoro tra un corriere in bicicletta e la piattaforma digitale Take Eat Easy.
I fatti
Il signor X inizia a collaborare come autista per Uber il 12 ottobre 2016.
Prima di iniziare la collaborazione, il sig. X
- si impegna, per iscritto, a rispettare le “Condizioni di partenariato” imposte da UBER e la “Carta della Comunità Uber”
- conclude un contratto con Hinter France, partner di Uber, per il noleggio di una carta professionale VTC (Véhicule de Tourisme avec Chauffeur) e
- noleggia un veicolo di Flexi-Fleet, anch’esso partner di Uber. L’importo dell’affitto viene detratto ogni settimana dal reddito guadagnato con Uber.
Tra il 12 ottobre 2016 e il 7 aprile 2017, il signor X realizza 2.038 corse per conto di Uber.
Dal 7 aprile 2017, Uber disattiva il suo account a seguito di “uno studio approfondito del suo caso“.
Il sig. X adisce, quindi, il Tribunale del lavoro di Parigi per accertare l’esistenza di un contratto di lavoro con l’Uber e chiede il risarcimento dei danni per la risoluzione abusiva del suo contratto di lavoro.
Con sentenza del 28 giugno 2018, il Tribunale del lavoro di Parigi decide che il contratto è di natura commerciale e si dichiara incompetente a favore del Tribunale commerciale di Parigi, che rigetta le domande del sig. X.
La Corte d’appello di Parigi, nella sentenza del 10 gennaio 2019, riforma la decisione di primo grado, stabilendo che l’autista ha inversato la prova del rapporto di dipendenza, dimostrando l’esistenza di una relazione di subordinazione contrattuale tra il sig. X e Uber.
La Corte d’appello di Parigi analizza, in primis, se l’autista puo’ essere considerato un lavoratore autonomo, e successivamente esamina se, nella fattispecie, sussistono gli elementi per caratterizzare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Vediamo, quindi, nel dettaglio il ragionamento giuridico della Corte d’appello.
1) L’autista Uber non è un lavoratore autonomo.
La Corte d’appello si domanda, in primo luogo, se l’autista Uber soddisfa le condizioni di lavoratore autonomo, vale a dire:
- Se ha la possibilità di crearsi una propria clientela;
- Se puo’ fissare liberamente le proprie tariffe;
- Se puo’ determinare liberamente le condizioni di esercizio del servizio di trasporto.
Nella fattispecie, la Corte d’appello di Parigi ritiene che le condizioni indicate non sono soddisfatte.
1.1) L’autista non può crearsi una propria clientela.
La Corte d’appello di Parigi constata che l’autista non aveva la libertà di scegliere i propri clienti, in quanto UBER gli vietava di prendere in macchina passeggeri diversi da quelli indicati dall’applicazione e che, in ogni caso, gli autisti non hanno la possibilità di crearsi una clientela stante l’esistenza di un divieto di contattare i passeggeri al termine del viaggio e di conservare le loro informazioni personali.
I giudici di secondo grado sottolineano, quindi, che ciò riduce “a nulla un elemento essenziale della qualità di fornitore indipendente di servizi”.
1.2) L’autista non puo’ fissare liberamente le proprie tariffe.
Secondo la Corte d’appello di Parigi, l’autista Uber non può essere considerato un lavoratore autonomo se le tariffe applicate per ogni servizio sono fissate “per mezzo di algoritmi della piattaforma Uber mediante un meccanismo predittivo, che impone all’autista un percorso particolare sul quale non ha libera scelta“.
1.3) L’autista non puo’ stabilire liberamente le condizioni di l’esercizio del suo servizio di trasporto.
I giudici di seconda istanza rilevano che il servizio di trasporto é interamente gestito da Uber, che centralizza tutte le richieste, assegnandole, secondo un algoritmo, ad uno degli autisti collegati all’applicazione.
A questo proposito, la Corte d’appello constata che Uber si riserva il diritto di “adeguare” la tariffa se l’autista ha preso una rotta “inefficiente”.
L’autista non ha quindi la libertà di fissare le tariffe per i suoi viaggi, il che è contrario a qualsiasi qualifica di lavoratore autonomo.
2) Esistenza di un rapporto di lavoro subordinato
Dopo aver constatato che l’autista non soddisfaceva le condizioni per essere qualificato come lavoratore autonomo, la Corte d’appello di Parigi verifica se esiste una relazione subordinata tra l’Uber e l’autista.
2.1) L’autista deve rispettare le direttive Uber.
La decisione del 10 gennaio 2019, constata che l’autista deve attenersi puntigliosamente alle istruzioni fornite dalla piattaforma digitale Uber ed in particolare:
- Deve seguire un itinerario “efficace”;
- Deve attendere almeno 10 minuti affinché il cliente lo raggiunga nel luogo concordato;
- Deve rispettare le linee guida comportamentali di Uber (ad es. sul contenuto delle conversazioni).
La Corte d’appello osserva, ancora, che l’autista non poteva accettare mance, il che è “incompatibile con l’esercizio indipendente di una professione“.
2.2) Uber controlla l’attività dei autisti.
I giudici di secondo grado, rilevano, che Uber controlla l’attività dei suoi autisti, in particolare per quanto riguarda l’accettazione delle corse.
Sebbene le “condizioni di partenariato” prevedano la possibilità per l’autista di “scollegarsi” dall’applicazione, la Corte d’appello constata che l’autista deve “rimanere a disposizione di Uber in qualsiasi momento durante il periodo di connessione“.
Gli autisti sono fortemente incoraggiati a non rifiutare le corse, in quanto Uber si riserva “il diritto di disabilitare o limitare in altro modo l’accesso o l’uso dell’applicazione” in caso di rifiuto di un numero troppo alto di corse.
I giudici parigini constatano che gli autisti non hanno la possibilità di “scegliere liberamente, come farebbe un autista indipendente, la corsa più adeguata alle loro necessità“, in quanto hanno otto secondi per accettare un viaggio, a volte verso una destinazione a loro sconosciuta.
2.3) Uber puo’ sanzionare gli autisti
La Corte d’appello di Parigi rileva che Uber ha il potere di punire gli autisti che hanno un tasso di cancellazione troppo elevato o che si sono comportati in modo problematico.
E’ Uber stesso a determinare il “tasso di cancellazione della richiesta” per ogni città.
Se l’autista ha un tasso di cancellazione superiore a quello definito per la sua città, questo può portare ad una “perdita permanente di accesso all’applicazione Uber“.
Analogamente, l’autista può perdere definitivamente l’accesso all’applicazione se è accusato di “comportamento problematico“, e la Corte d’appello rileva che “non importa se i presunti atti sono provati o se la sanzione è proporzionale all’infrazione”.
3) Il rifiuto dell’argomentazione di Uber secondo cui gli autisti sono liberi di organizzarsi autonomamente
Accogliendo la richiesta del dipendente, la Corte d’appello di Parigi respinge l’argomentazione di Uber secondo cui l’autista è libero di organizzare il suo lavoro.
I giudici di secondo grado hanno considerato che “il fatto di poter scegliere i propri giorni e orari di lavoro non esclude di per sé un rapporto di lavoro subordinato, purché sia dimostrato che quando un autista si collega alla piattaforma Uber, integra un servizio organizzato dalla società Uber, che gli dà istruzioni, ne controlla l’esecuzione ed esercita un potere sanzionatorio nei suoi confronti”.
Sulla base di questi ragionamenti, la Corte d’appello di Parigi ha ritenuto che vi fosse “un insieme di prove sufficienti” tali da consentire al sig. X “di caratterizzare il rapporto di subordinazione in cui si trovava quando era collegato alla piattaforma UBER” ed ha rinviato la causa dinanzi al Giudice del lavoro affinché all’autista venga riconosciuto il risarcimento del danno per licenziamento ingiustificato.
Uber ha annunciato l’intenzione di ricorrere in Cassazione contro questa sentenza..
Vedremo se la Suprema Corte confermerà questa analisi.
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